domenica 7 marzo 2010

VOGLIAMO PARLARE DI AMPLIFICAZIONE DELLA CHITARRA ACUSTICA?

Ora che qualche capello bianco comincia a caratterizzare il mio look (unito a qualche kg di troppo) posso affermare, in merito al variopinto popolo dei “chitarrai” (al quale orgogliosamente appartengo), una cosa praticamente certa: il chitarrista medio, quello che suona “per divertimento”, una volta raggiunto un certo livello tecnico, alto o basso che sia a seconda delle sue capacità, applicazione, predisposizione, orecchio e quant’altro, smette di progredire ed inizia ad interessarsi, o meglio ad ossessionarsi, al SUONO.
Ciò di norma coincide con le prime apparizioni in pubblico. Difficile sentire un chitarrista rivolgersi all’amico di turno chiedendo “come ho suonato”; molto più facile sentire affermazioni del tipo “come si sentiva”, accompagnate da sguardi impauriti ed apprensivi.
Curioso poi osservare che, nella ricerca del SUONO non tutti gli anelli della catena godono della stessa attenzione: Una volta approdato alla Strato od alla Les Paul di turno, il nostro “chitarraio” trascura spesso elementi quali corde, cavi, meccaniche che ci aiutano a rimanere accordati, specializzandosi, in ordine crescente su pick up (ma una volta approdato ai Duncan o ai Di Marzio di norma trova la pace), sugli ampli (ed anche qui una volta scoperto il gusto della valvola…) per approdare ad una perenne insoddisfazione nel momento dell’arduo assemblaggio della pedaliera!
Il popolo degli “acustici” è parimenti ossessionato dall’argomento “SUONO”, anche se con sfumature diverse: qui la diatriba tra palissandro e mogano diventa una delle questioni principali, anche se alla fine, il maggiore motivo di attenzione, se non di frustrazione, è dato dalla TRASDUZIONE, ovvero la scelta del sistema che si incaricherà di trasformare le vibrazioni delle nostre corde in segnali da inviare all’amplificazione. Ciò perché TUTTI si scontrano con una incontrovertibile realtà: qualsiasi sistema di trasduzione, per quanto sofisticato, restituirà un suono che ricorderà solo da lontano il vero timbro dell’amata acustica, con un risultato comunque inferiore ad una ripresa effettuata con un microfono a condensatore anche di qualità medio-bassa.
Il “chitarraio acustico” continua di norma a sperimentare e ricercare il suo Graal, perché la ripresa microfonica è comunque difficilmente gestibile dal vivo, sia che si suoni da soli che, a maggior ragione, con altri strumenti, stante la perfidia del nemico n. 1: il famigerato “larsen” o “feedback”.
Nel tempo si sono visti numerosi sistemi di trasduzione, ognuno con i suoi pregi ed i suoi difetti: tra gli altri i diffusissimi “piezo da sottosella”, spesso accompagnati da preamplificatori “on board” che assomigliano a citofoni che violentanto le fasce delle ns. amate dread; piuttosto che pick up magnetici da buca, o microfoni a condensatore interni. Questi sistemi, a fianco del “plus” rappresentato da una generale semplicità di utilizzo, presentano per contro aspetti negativi, quali, generalizzando un po’, una resa “plasticosa” e che capta unicamente la vibrazione del ponte (i primi), piuttosto che la sola vibrazione delle corde - con un risultato simile a una chit. Elettrica - (i secondi), quanto un suono “intubato” e troppo sensibile al feedback gli ultimi. Va detto che nel tempo le proposte dei vari produttori si sono via via sofisticate, con un miglioramento dei risultati che, accompagnati da una sana equalizzazione, possono fornire risposte più che valide, mentre la combinazione di due sistemi di trasduzione (piezo+magnetico oppure piezo+mic) aiutano spesso a compensare le carenze dei vari sistemi. Ormai tutte le acustiche, anche quelle di fascia bassa, ospitano sistemi di trasduzione e preamplificazione dignitosi, con una resa che solo qualche anno fa poteva sembrare un sogno inarrivabile. Ma volendo dare voce ex novo una chitarra elettricamente muta?
Anch’io mi sono trovato a combattere la guerra della “giusta” amplificazione della mia chitarra acustica, una gloriosa Ibanez di fine anni 70, imitazione della Gibson Hummingbird alla quale sono molto affezionato e che, pur non potendo competere ovviamente con strumenti blasonati, ha le sue qualità, principalmente per la suonabilità, dopo un buon set-up del liutaio vicentino Loris Fontana, e per la presenza di un’ottima tavola di abete massello che gode di una stagionatura naturale ormai trentennale.
Ricordo ancora i primi goffi tentativi di elettrificare lo strumento, il primo correlato all’utilizzo di un pick up magnetico Shadow, di per sé anche discreto ma osceno esteticamente e difficilmente ancorabile alla buca. All’epoca pensavo di ottenere una buona resa con l’utilizzo di un multi effetto Yamaha Magic Stomp, sfruttando i suoi presets per chitarra acustica, e non mi capacitavo del risultato purtroppo penoso. Successivamente approdai al GHS Soundhole (microfono a condensatore da utilizzare “dentro” la cassa), il risultato migliorava un po’ finchè si rimaneva tra le mura domestiche per registrare. Alla prova del palco le cose evidenziavano i propri limiti in modo drammatico, per l’ingestibilità dei rientri. Di suonare con altri musicisti poi, proprio non se ne poteva parlare. All’epoca avevo iniziato a partecipare agli open-mic di Fingerpicking.net, peraltro frequentati da chitarristi acustici di livello, e alle mie dubbie capacità interpretative dovevo aggiungere la sensazione di inadeguatezza del mio SUONO. Il “senno di poi” mi porta ad affermare che, oltre alla qualità dei trasduttori o del multi effetto, la ricerca del giusto suono deve passare assolutamente attraverso corrette regolazioni, a livello di equalizzazione (meglio togliere piuttosto che aggiungere), di gain (meglio stare calmini), di posizionamento sul palco, tutti fattori che necessitano di lunghe ore di prova per attivare a padroneggiarli.
Alla fine ho trovato una risposta per me soddisfacente nel “Mini Pure Western” della americana “K+K” . Trattasi di un trasduttore composto da tre “pastiglie” da incollare con la fornita colla ciano-acrilica sotto la tavola armonica, all’altezza del ponte. I cavi che “escono” dalle pastiglie si riuniscono in un solo cavo che termina in un “end-pin jack” utilizzabile anche come bottone per la tracolla. Il sistema quindi è poco invasivo, di fatto lo strumento viene intaccato unicamente dal buco da fare con il trapano per ospitare il jack. Il pregio principale di questo pick up è dato dal suono molto naturale considerato che i tre elementi di trasduzione captano perlopiù le vibrazioni della tavola, diversamente da un normale piezo installato sotto la sella del ponte, che cattura principalmente la vibrazioni del ponte stesso. Il “mini Pure” restituisce peraltro un livello di segnale abbastanza potente da pilotare un canale del mixer, piuttosto che un ampli da acustica, anche senza l’ausilio di preamplificatori esterni. Questa è una soluzione che utilizzo spesso in soluzioni “da battaglia”, tipo una suonata tra amici magari improvvisata: si attacca il cavo e via a suonare. Ottima l’abbinata con un combo SR Technologies Jam150. Utilizzando un cavo jack-cannon maschio in uno dei primi due canali dell’ampli e gli effetti on board (peraltro forniti da Alesis) il risultato era adatto a tutte le situazioni. In merito al temuto feedback, segnalo una sensibilità limitata, anche se non nulla e va quindi posta comunque una certa attenzione alla posizione del “musicante” rispetto ad ampli e casse.
K+K fornisce altresì oltre ad una vasta gamma di trasduttori simili al Pure Western, per vari utilizzi (classica, resofonica, ukulele, violino etc) anche una bella serie di preamp dedicati. Personalmente utilizzo un “Dual Channel Pro” che come dice la parola fornisce la possibilità di trattare due segnali: quello del Pure western e quello di un altro trasduttore, tipo un magnetico piuttosto che un mic. Ciò è facilitato dal fatto che l’end pin jack fornito con il Pure Western è predisposto per accogliere i due cavi di un altro trasduttore, basta saldarli. Il preamp presenta controlli esterni di volume separati per i due segnali, una coppia di uscite singole, volendo usare due canali del mixer con equalizzazioni diverse, ancorchè utilizzando l’uscita left si preleva un comodo segnale mono già mixato delle due sorgenti. Internamente il preamp presenta dei trimmers per gain, bassi, medi ed acuti con estesa possibilità di intervento (+- 15 db) e separati per ogni canale. In questo caso, se da un lato la soluzione fornisce ampia possibilità di modellare i segnali (con la Ibanez ad esempio tagliavo fortemente i bassi di per sé ridondanti, da buona dread) per contro risulta un po’ scomoda da regolare, stante il fatto che i trimmers sono interni. Bisogna in pratica utilizzare un approccio “set & forget” modellato sul singolo strumento, lasciando ulteriori regolazioni correlati a necessità ambientali che si possono presentare nelle singole occasioni a devices esterni (in buona sostanza al mixer o all’ampli). Il preamp migliora sicuramente la resa del sistema, anche se a mio avviso non in maniera drastica. Presenta anche il classico rischio correlato alla pila da 9 volts che lo alimenta, specializzata come noto nell’abbandono nel bel mezzo di una performance….(ma qui basta organizzarsi….)
L’utilizzo del Dual Channel Pro diventa per contro indispensabile se si abbinano due forme di trasduzione. Vi voglio riportare l’esperienza dell’utilizzo di un Pick Up magnetico della Fishman Mod Neo-D (passivo e caratterizzato da una risposta bella equilibrata su tutta la gamma ma da una potenza di uscita di per sé non esaltante) abbinato ad un “dual twin” sempre della K+K (versione scaled down del mini pure) installati su una 12 corde Yamaha primi anni 80. . Tramite i trimmers interni del secondo canale del preamp si riusciva a fornire il corpo mancante al segnale del Fishman e la resa finale era caratterizzata da un bella “complessità” con frequenze ben dettagliate con un attacco bello pronto favorito dal magnetico. La possibilità di mixare le due sorgenti sul preamp forniva altresì ampia versatilità, favorendo ad esempio il Fishman per strumming e linee a note singole oppure privilegiando il K+K, insuperabile per gli arpeggi.
Tutto bene, direte Voi, ma si può sentire tutto ciò come suona? Purtroppo la 12 corde equipaggiata con il doppio sistema, unitamente all’S.R. jam150 e a gran parte della mia strumentazione elettrica sono ora a mani di terzi….che visitarono il mio garage un paio di anni fa, e non dispongo di nessuna registrazione proponibile. Vi dovete fidare quindi della mia parola. Ho reperito invece un paio di video, registrati in un paio di serate diverse, con la Ibanez protagonista, equipaggiata con il Mini Pure Western. In entrambi i casi la ripresa è quella del microfono interno della cinepresa e quindi la qualità dei suoni, così come quella delle performances per miei evidenti limiti… sono quelle che sono. Però come mi sono divertito…..